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Razzismo, ambiente, salute. Razzismo ambientale e disuguaglianze di salute

Razzismo, ambiente, salute. Razzismo ambientale e disuguaglianze di salute

Recensione del numero monografico “Razzismo, ambiente, salute. Razzismo ambientale e disuguaglianze di salute”, «SOCIOESCAPES. International Journal of societies, politics and cultures», Vol 3. N. 1 (2022).

Razzismo, ambiente e salute

Il numero monografico a cura di Fabio Perocco e Francesca Rosignoli contiene undici contributi che esaminano, secondo diverse prospettive, il legame tra il razzismo, l’ambiente e la salute.

Il razzismo ambientale è fenomeno paradigmatico della ingiustizia ambientale che si verifica quando, a seguito (prevalentemente) di pianificazione della collocazione di sorgenti di contaminazione significative, i rischi ambientali interessano sistematicamente alcune etnie, come le popolazioni di Black American negli Stati Uniti o popolazioni indigene.

La giustizia ambientale nasce negli Stati Uniti all’inizio degli anni ‘80 del secolo scorso, o meglio, agli anni ‘80 può essere fatta risalire la sua formalizzazione. Tuttavia, fenomeni di discriminazione nei confronti di individui, gruppi e comunità nell’essere esposti ai rischi ambientali e/o nel beneficiare degli environmental goods sono stati documentati pressoché ovunque e anche precedentemente a tale periodo.

Il primo e l’ultimo contributo del numero monografico di Socioescapes idealmente cuciono insieme i diversi contributi con dei riferimenti comuni agli effetti nefasti del capitalismo.

Il cardine del ragionamento vede il sistema capitalistico produrre e strutturare ingiustizie che colpiscono gruppi etnici, gruppi svantaggiati, e, allo stesso tempo, l’ambiente naturale dove essi si trovano, in una spirale degenerativa che coinvolge progressivamente i singoli, i gruppi, le nazioni e il mondo intero.

L’essere umano e la natura divengono strumenti per la produzione di capitale a beneficio di pochi, in luoghi diversi da quelli che, invece, subiscono le conseguenze negative delle contaminazioni ambientali, sia direttamente per i danni all’ambiente sia successivamente (e progressivamente) per le loro conseguenze sanitarie. Cosicché “zone di sacrificio” e popolazioni locali sono immolate per il beneficio altrui.

Curatore e curatrice del volume, nell’introduzione, facendo riferimento a uno dei documenti caposaldo dello sviluppo del concetto di giustizia ambientale e della documentazione del razzismo ambientale negli Stati Uniti, riportano che

«le popolazioni colpite sono oggetto di una forma insidiosa di razzismo che privilegia certi gruppi sociali a discapito di altri creando, e mantenendo nel tempo, disuguaglianze ambientali che si traducono sistematicamente in disuguaglianze di salute.» [1]

Il fenomeno del razzismo ambientale, così come analizzato inizialmente negli Stati Uniti, si traduce in altri Paesi e continenti in forme di neocolonialismo con analoghe conseguenze, spesso ancor più radicali nelle loro manifestazioni.

Il caso brasiliano

Ciò è documentato nei tre contributi del monografico che fanno riferimento al Brasile. L’effetto discriminatorio del neocolonialismo è presente tanto in riferimento all’agricoltura intensiva e alle miniere nella naturalmente ricca Amazonia nello stato di Parà, quanto per lo sfruttamento minerario nel bacino del Rio Doce. In quei casi le popolazioni interessate dal razzismo ambientale sono le popolazioni native. Il volume riporta anche un caso riferito alla contaminazione chimica nello stato di Bahia, sempre in Brasile, con l’esclusione della comunità locale dell’Ilha de Maré da decisioni fondamentali riguardo il destino del proprio territorio. Quella comunità si trova oggi a vivere a ridosso di un bacino dove si affacciano diversi stabilimenti chimici che hanno alterato l’ecosistema locale, financo a compromettere la foresta di mangrovie, la loro principale fonte di sostentamento. La comunità locale vive in quello che sulla carta è un parco naturale che, tuttavia, risulta contaminato a seguito delle attività di compagnie private.

Con il razzismo ambientale il sistema capitalistico mette in luce tutti i suoi principali effetti negativi. Pochi opprimono molti, determinando meccanismi di ingiustizia che confluiscono in una cristallizzata stratificazione sociale dove le disuguaglianze ambientali e di salute aumentano progressivamente.

Questi elementi sono particolarmente evidenti e ricorrenti oggigiorno, dove le decisioni di pochi influenzano la vita dei più accentuando non di rado le disuguaglianze di vario genere: ne sono testimonianza esemplificativa sia le conseguenze di alcune modalità di affrontare la pandemia Covid 19 (come riportato in un contributo del libro [2]) sia le conseguenze delle recenti guerre per la tutela dei superiori interessi nazionali.

Questioni di metodo di analisi

Ai contributi dedicati al razzismo ambientale, effetto del neocolonialismo, seguono due contributi di carattere metodologico: Anna Rita Germani, Marco Rao, Francesca Rosignoli sono autrice e autore del saggio An Environmental Justice indicator for managing environmental risk in the Italian Provinces; Elodie Charrière e Nicola Cantoreggi sono autrice e autore di L’évaluation d’impact sur la santé (EIS), un outil au service de la justice environnementale. Il primo di questi è riferito al contesto italiano e presenta un indicatore di ingiustizia ambientale su base provinciale associato all’inquinamento atmosferico. Si tratta di uno dei primi esercizi svolti in Italia per documentare la distribuzione delle disuguaglianze ambientali nell’ottica della giustizia ambientale. Il livello di analisi della giustizia distributiva associata al fattore di rischio è ancora molto ampio per poter indicare priorità d’intervento. Tale contributo rappresenta un esempio di analisi nel contesto nazionale, affiancandosi alla più consistente documentazione sui siti contaminati, prodotta in particolare nell’ambito del sistema di sorveglianza epidemiologica SENTIERI (lo Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) [3].

Il fascicolo monografico riporta anche un esempio relativo al potenziale ruolo della cultura nelle sue manifestazioni artistiche per far emergere e mettere in luce le ingiustizie. Questo aspetto è trattato in riferimento ad alcune esperienze teatrali. Rosaria Ruffini nel suo contributo «Theatre is a weapon». Le lotte teatrali contro le diseguaglianze razziali di salute nel Sudafrica del post-apartheid tra Aids e Covid-19 mette in luce che la forza della denuncia artistica rischia di implodere quando tali forme espressive sono inglobate e normalizzate in ambito governativo. È importante invece fare tesoro di esperienze, come quelle documentate, che esemplificano il potere rivoluzionario di denuncia per la presa di consapevolezza delle comunità locali già esercitato in altri luoghi e in altri tempi, ad esempio dal teatro dell’oppresso in America Latina.

La natura è un campo di battaglia

Il fascicolo termina con una breve riflessione sul saggio La natura è un campo di battaglia del sociologo Razmig Keucheyan, in cui l’autrice Beatrice Collina afferma:

Keucheyan dimostra […] come la grande capacità di questo sistema – capitalistico – consiste ogni volta nell’adattarsi e reinventarsi rispetto alle crisi che esso stesso causa, in una dialettica che si riproduce all’infinito. La fine del capitalismo, e di tutto ciò che lo caratterizza, può essere solo una scelta. [4]

Voci di alcuni che gridano nel deserto si levano per denunciare le tante forme odierne di rapporto oppressore-oppresso e di ricerca di senso in un contesto di crisi collettiva. Tra queste vi è quella del compositore e filosofo russo Vladimir Martynov, che in una recente intervista, in riferimento alla crisi dell’Europa, conclude affermando:

c’è un momento molto interessante nella storia del profeta Geremia, fu quando predisse la caduta di Gerusalemme e poi egli stesso vide questa caduta, vide ciò che aveva predetto. Ora, quando era già ovvio che Gerusalemme sarebbe caduta e che in generale non ne sarebbe rimasto nulla, egli comprò un pezzo di terra in questa città condannata. Ed ecco il fatto, che egli comprò questo pezzo di terra, era questa stessa una profezia, che rivelava che la vita sarebbe tornata in Gerusalemme, sarebbe stato costruito un nuovo tempio e in esso vi sarebbe stato il Messia. Ora, nonostante il mondo sia distrutto, che l’uomo sia distrutto, nonostante non ci siano più né il mondo né l’uomo […] ognuno di noi deve, seguendo l’esempio del profeta Geremia, trovare da qualche parte dentro di sé questo pezzo di terra e riscattarlo e oltre a riscattarlo riuscire a fare in modo che tale atto di vendita di questa operazione sia valida nel nuovo mondo. Poiché viviamo tutti sulla soglia di un nuovo mondo e non sappiamo cosa sarà, ma personalmente desidero che ognuno di noi trovi questo pezzo di terra e che lo porti con sé. [5]

Possiamo allora fare nostro questo invito anche nelle lotte verso tutte le ingiustizie, comprese quelle ambientali, cui anche i ricercatori possono contribuire a partire dal documentarle, come questo numero monografico fa egregiamente.

Note

[1] Fabio Perocco, Francesca Rosignoli. “Sulla nostra pelle”: razzismo ambientale e disuguaglianze di salute, SOCIOESCAPES. International Journal of societies, politics and cultures, Vol 3 No 1 (2022), p. 11.

[2] Il contributo è la traduzione di Giada Giacomini del testo originale di Just Transition Alliance, the Frameworker Association of Florida, WE ACT for Environmental Justice, Indigenous Environmental Network, Los Jardines Institute, Vermont Law School Environmental Justice Clinic. Federal Dereliction of Duty: Environmental Racism Under Covid-19, settembre 2021, pp. 251-256.

[3] L’ultimo rapporto SENTIERI, il sesto, contiene un approfondimento sulla giustizia ambientale: Roberto Pasetto, Daniela Marsili. Il contributo di SENTIERI alla promozione della giustizia ambientale nei siti contaminati italiani. Epidemiologia e Prevenzione 2023, 47 (1-2). Suppl. 1, pp. 375-384.

[4] Beatrice Collina. Razmig Keucheyan. La natura è un campo di battaglia. Verona, ombre corte, 2019, pp. 213, 260.

[5] L’Europa ha perso se stessa.

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