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Capitale animale

Capitale animale

Traduzione del libro di Nicole Shukin “Animal Capital”, University of Minnesota Press 2009, edito da Tamu edizioni (Napoli 2023) con il titoloCapitale animale. Biopolitica e rendering“, traduzione di Bianca Nogara Notarianni, prefazione e cura di Massimo Filippi e Federica Timeto, secondo volume della collana editoriale Ecologie Politiche del Presente.

Panoramica

Capitale animale adotta un approccio materialista alla “questione dell’animale” e segue la sovradeterminazione storica della “natura” animale all’interno delle culture del capitalismo.

Il libro affronta le dinamiche del capitalismo attraverso analisi di casi incentrati sulle narrazioni e sul feticismo della mobilità, con l’obiettivo di colmare le lacune della teoria marxista e post-marxista legate al ruolo centrale degli animali non umani per l’egemonia culturale ed economica del capitale.  Questa analisi degli intrecci fra “animale” e “capitale” si colloca principalmente nel campo degli studi culturali, ma è fondamentale per l’analisi delle contemporanee forme di produzione e riproduzione della vita che coinvolgono i viventi umani e non umani e le loro relazioni e interessano diversi campi disciplinari.

La critica al biopotere capitalista elaborata nel libro ruota intorno alla teorizzazione della doppia logica del “rendering”.

Con questo termine si intende sia l’atto mimetico di fare una copia analogica o digitale di un cosiddetto “originale”, sia l’attività tutta materiale dello sfruttamento totale e del riciclo dei resti dei corpi non umani.

Questa doppia logica mostra come le economie della rappresentazione (o mimesi nel senso più ampio di copia o riproduzione) e le ecologie violente del capitalismo industriale e post-industriale sono co-implicate. La teoria del rendering elaborata da Shukin pone le basi per una politica materialista della rappresentazione che insiste sull’impossibilità di separare i mezzi di riproduzione – simbolici ed economici – del capitale, di cui segue attraverso una ricostruzione anche storica la complementarità perversa.

Il libro si compone di quattro capitoli che passano in rassegna numerosi testi, documenti visivi e d’archivio, fotografie, campagne pubblicitarie e narrazioni, tra queste quelle legate agli eventi pandemici di origine zoonotica, che Shukin analizza in un’ottica antispecista e decoloniale ancora oggi estremamente attuale.

Il “capitale animale” che lega questi testi consiste, da un lato, nel valore feticistico della fusione discorsiva fra natura reificata del capitale e segni della vita animale, dall’altro, nella “moneta” del rendering come insieme di processi materiali incorporati.

Indice

Introduzione. Capitale Animale

1. Il rendering animale e il capitale: una genealogia industriale

2. Automobilità: il capitale animale di automobili, film e macelli

3. Telemobilità: la moneta biopolitica dell’affetto animale

4. Biomobilità: il calcolo della parentela in un’era di pandemia capitale

Post scriptum. Cannibalismo nel Globo-Mobile capitalista

Il primo capitolo è dedicato alla storia dell’industria del rendering animale, di cui l’autrice ripercorre la genealogia culturale per mostrare come l’uso di “ogni parte di un animale” invocato dal capitalismo si componga di pratiche specifiche e si caratterizza in modo altrettanto specifico sul piano sia politico sia culturale.

Il secondo capitolo ruota attorno al concetto di “automobilità” e segue tre linee fordiste di movimento che sono profondamente legate al rendering animale: le catene di smontaggio degli animali nei macelli verticali di Chicago, le catene di assemblaggio delle automobili Ford, la produzione di pellicole di George Eastman. Questo capitolo rinconsidera la politica materiale della prima cultura di massa nordamericana (auto e film) alla luce del capitale animale – e della mobilità ininterrotta dei corpi animali nella logica del macello.

Il terzo capitolo prende in considerazione la “telemobilità” delle telecomunicazioni e il disconoscimento dei costi ecologici e sociali del capitale che ne caratterizza le dinamiche. La circolazione della valuta dell’affetto animale serve in questo caso a occultare lo sfruttamento neocoloniale di natura, corpi razzializzati e forza lavoro che mediano materialmente lo scambio comunicativo.

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Il quarto capitolo, sulla “bio-mobilità”, esamina le narrazioni del Ventunesimo secolo legate alle pandemie globali e lo spettro del contagio tra specie, o zoonosi. Shukin confronta qui il panico globale suscitato nelle narrazioni mediali sull’influenza aviaria e sul morbo della mucca pazza con l’apparentemente opposta – ma perversamente complementare – passione per la conservazione della biodiversità e delle differenze etniche, e li presenta come co-sintomi dell’attuale pandemia (ovvero dell’egemonia globale) del capitale.

Ambito di riferimento e approccio teorico e metodologico

Nello spirito interdisciplinare degli studi culturali, il libro intreccia spunti diversi provenienti da: ecologismo marxista e critica dell’ecologia (Luke, O’Connor, Haraway); analisi dei discorsi coloniali e razziali (Gates, McClintock, Spivak); teoria postmarxista e poststrutturalista (Foucault, Deleuze e Guattari, Laclau e Mouffe, Zižek); teorie sulla mimesi (Benjamin, Caillois, Taussig); film e media studies (Chion, Debray, Lippit); teorie sulla biopolitica (Foucault, Hardt e Negri, Agamben); studi culturali animali e decostruzione del concetto di specie (Berger, Lippit, Derrida, Wolfe). Di Derrida viene in particolare analizzata criticamente la sovrapposizione fra spettralità e animalità, come anche l’analisi esclusivamente semiotica di Lippit che da questa muove. Shukin riprende la distinzione di Wolfe (in Zoonotologies) fra discorsi specisti e istituzioni speciste, ma la radica ulteriormente nell’analisi della contemporanea economia capitalistica basata non secondariamente sullo sfruttamento totale e totalizzante dei corpi animali.

Capitale animale muove dalla nozione di feticismo delle merci di Marx e la rilegge ed espande attraverso il “divenire-animale” del capitale (Deleuze e Guattari) nella contemporaneità, ma mette anche in discussione una micropolitica deterritorializzante del “divenire-animale” che rischia di non opporre una efficace resistenza ai mezzi e agli effetti biopolitici del capitalismo.

In questa direzione, anche il biopotere foucaultianamente inteso è considerato facendo riferimento ai corpi degli animali non umani esclusi dalle frequenti astrazioni di queste teorie. Shukin diffida anche del residuo eurocentrismo di molti di questi approcci e li rilegge combinandoli con gli strumenti della critica postcoloniale ed ecoculturale, per mettere meglio in evidenza le intersezioni fra specie e razza.

La nozione di rendering consente all’autrice di tracciare i modi in cui il biopotere supera la logica binaria e opera piuttosto nelle naturculture (Haraway), dove anche il piano materiale e quello semiotico risultano inscindibili.

Il rendering diventa qui anche una metodologia “performativa”, una pratica di articolazione controegemonica (Laclau e Mouffe; Haraway) per creare connessioni politiche tra le economie rappresentazionali e materiali del capitalismo.

Lettori

Il libro si colloca nell’ambito degli studi culturali con un approccio politico che attinge ai Critical Animal Studies. La svolta della rappresentazione che affronta attraverso casi di studio provenienti da forme diverse, testuali e visuali, più o meno popolari, lo rende interessante per gli studiosi di scienze umane e scienze sociali e politiche, geografia culturale, Environmental Humanities, e non secondariamente media e nuove tecnologie. La densità di riferimenti teorici si coniuga a un linguaggio estremamente argometativo e chiaro che lo rendono perfettamente fruibile anche ai lettori non accademici. I riferimenti alle pandemia zoonotiche, inoltre, lo rendono quantomai attuale e tra gli interventi più critici e politici sul tema foinora scritti nel contesto degli studi animali.

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