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Nella zona nevralgica del conflitto. Introduzione a “Ecologie della cura”

Nella zona nevralgica del conflitto. Introduzione a “Ecologie della cura”

Estratto dell’introduzione al volume Ecologie della cura. Prospettive transfemministe
a cura di Maddalena Fragnito e Miriam Tola (Orthotes, 2021)

L’intero volume è disponibile in open access qui

Nella zona nevralgica del conflitto

Settembre 2021, nei social network circolano le fotografie delle proteste di Extinction Rebellion nel distretto finanziario di Londra. Il movimento ecologista manifesta davanti alla Bank of England per chiedere al governo britannico di porre fine a tutti i nuovi investimenti nei combustibili fossili e di affrontare la crisi climatica. Decine di persone vengono fermate dalla polizia. Molte portano con sé cartelli che recitano: “Arrested for caring”. A mostrare i cartelli ci sono anche molti uomini, giovani e meno giovani, tra loro spicca un distinto signore bianco di mezz’età in completo grigio e cravatta. In italiano questo slogan può essere tradotto con “Mi arrestano perché mi prendo cura”, o “Mi arrestano perché mi preoccupo”. Chi, in questa occasione, si preoccupa e si prende cura? A chi è rivolta la cura e perché le persone che la esercitano compiono un atto illegale? La protesta denuncia la “finanza fossile” che sovvenziona la crisi climatica e i governi che stanno a guardare mentre la temperatura del pianeta aumenta.

La sollecitudine, la preoccupazione e l’azione collettiva sono una risposta alla precarietà della vita su un pianeta ridotto in rovina[1] da relazioni socio-ecologiche organizzate intorno al paradigma dello sviluppo economico.

Le immagini di Londra evocano due elementi che qui ci interessa sottolineare. Primo, indicano uno slittamento verso una forma di cura multidimensionale che risponde a dinamiche e problemi politici di portata sociale ed ecologica. La cura coinvolge le persone, gli esseri viventi e le componenti biosferiche e atmosferiche da cui dipende la vita umana sul pianeta. Implica non solo e non tanto una visione intersoggettiva quanto una “responso-abilità” che coinvolge esseri umani e non umani in relazioni di interdipendenza[2]. Secondo, mostrano che la circolazione e la distribuzione della cura sono un ambito di conflitto tra una varietà di attori che immaginano e praticano modelli di cura divergenti. Caring, in questo contesto, significa anche lottare, dedicare energie e tempo per trasformare relazioni di potere asimmetriche.

Possiamo leggere l’uso e la risignificazione del lessico della cura di Extinction Rebellion nel quadro di un’attenzione crescente a questo tema nell’accademia e nell’attivismo.

Il movimento ecologista rinvia a un elemento che i saperi femministi hanno messo in luce da tempo: la cura è materia politica.

Le immagini della protesta suggeriscono che la cura riguarda tuttə, che chiunque può (e dovrebbe) occuparsi di altre persone, del pianeta e delle generazioni che verranno. Per alcuni versi, sono un invito a disinvestire nella fantasia del soggetto autosufficiente, che vorrebbe bastare a sé stesso, ignorando la propria dipendenza da altri corpi, da altre forme viventi e non viventi, incluse le sostanze organiche e i processi chimici alla base dei combustibili fossili. Questa fantasia, tipica della modernità occidentale, è stata esasperata nei decenni del neoliberalismo che esalta le capacità di auto-espansione dell’individuo e fa della dipendenza una colpa, una fonte di umiliazione, una patologia da arginare.

Tuttavia, come sottolineano le prospettive femministe e anti-razziste, la cura è attraversata da disuguaglianze che ne determinano l’organizzazione e la distribuzione. Sebbene la cura sia una questione di interdipendenza e relazione, è anche un insieme di attività disconosciuto e svalutato, tradizionalmente escluso dagli ambiti della politica e dell’economia, su cui ha prosperato il modello viril-capitalista che sfrutta manodopera poco o nulla remunerata, femminilizzata e razzializzata, e che trasforma corpi ed ecosistemi in risorse da appropriare.

Per dirla con Pascale Molinier, la cura “è una zona nevralgica di conflitto, di tensioni, di tentennamenti, di ambivalenza”[3].

Da questo punto di vista, il lessico della cura si presta a letture ambigue. Anche se la cura riguarda tuttə, alcuni soggetti dominanti della modernità, in particolare gli uomini bianchi, hanno goduto e continuano a godere del privilegio di delegarla ad altre. Così, se da una parte è necessario sottolinearne il ruolo, e ri-valorizzarla in chiave di alternativa al paradigma che pensa la costituzione del mondo in termini di produzione, d’altra parte è vitale formularne una visione non edulcorata.

La cura, insomma, non è una pratica innocente, non è sinonimo di condivisione, di creazione di convivialità, ma comporta relazioni di potere con cui confrontarsi per modificarne il senso e trasformare le modalità del vivere comune.

Questo libro accoglie la proposta ecologista di fare della riconfigurazione delle relazioni socio-ecologiche un terreno di cura collettiva, ma assume come lente privilegiata quelle prospettive femministe che, non da oggi, hanno reso la cura un dispositivo critico, sensibile ai paradossi e alle ambivalenze. Anziché ridurre, ci interessa moltiplicare le ambiguità e interrogare il rischio di proporre visioni idealizzanti della cura che insistono sugli affetti positivi mettendo in secondo piano gli affetti negativi, il disagio, le disuguaglianze, le violenze ed esclusioni che attraversano le esperienze quotidiane di presa in carico della vita. Il volume restituisce questi elementi di dissonanza nell’attenzione alle tensioni tra diversi approcci femministi, alle sfide del femminismo nero e del femminismo decoloniale, alle prospettive trans, a quelle ecologiste e ai disability studies.

L’accento sulle ecologie nel titolo del libro rinvia ad assemblaggi di elementi eterogenei e non a unità organiche stabili e armoniose. In questo senso, i saggi nel volume coesistono per interrogare la cura e per interrogarsi l’uno con l’altro. Con Donna Haraway, pensiamo le ecologie come concatenamenti che coinvolgono viventi umani, non umani e tecnologie[4].

Prestare attenzione alle ecologie della cura implica sfidare l’assunto secondo cui gli esseri umani esistono come individui separati, privi di un milieu più-che-umano che pone questioni e problemi dalla forza ineludibile.

Al tempo stesso, significa fare i conti con configurazioni di potere che rendono i corpi ineguali e assegnano ad alcuni, piuttosto che ad altri, gli obblighi della cura. Significa, dunque, sforzarsi di tenere in vita e, insieme, porsi il problema di disfare le forme egemoniche della cura che producono esclusioni e privilegi.

 (…)

In Italia come altrove, la cura ha acquistato nuove valenze nella ricerca e nelle pratiche dal basso che hanno proposto alternative alla gestione politica della crisi sanitaria. Nella fase “acuta” dell’emergenza, le reti di solidarietà per distribuire cibo e farmaci nei quartieri, le forme di mutuo aiuto tra donne, persone queer, sex workers e migranti, la scommessa sulle filiere alimentari corte e la creazione di forme di assistenza psicologica ha reso possibile la persistenza della vita di moltǝ. Forme di cura alternativa hanno creato rifugi tra le pieghe di un mondo che si sfalda.

(…)

Eppure, la contestazione dei modelli dominanti della cura e le reti di mutuo aiuto sono continuamente messe a repentaglio da leggi che confondono pratiche di solidarietà con pratiche criminali, dalla mancanza di tempo, di risorse, dal logoramento fisico e psichico, dalla fatica e dal risentimento. La riconfigurazione dal basso della cura indica, tuttavia, che su questo terreno si gioca la possibilità di generare modi di vita che vale la pena vivere.

Che cosa è essenziale e per chi? Quali relazioni sociali ed ecologiche vale la pena rigenerare e quali invece devono essere disfatte per trasformare le condizioni della vita in comune?[5] Quali cure generano altri mondi?

Se la cura è pratica necessaria di cui non si può fare a meno, all’analisi delle asimmetrie è necessario accompagnare strumenti e conflitti in grado di reimmaginarne le forme politiche, etiche ed estetiche.

Il corpus di ricerca sulla cura è ricco, voluminoso, plurale. In questa introduzione offriamo una breve ricognizione delle genealogie femministe a partire dagli anni Settanta. Senza pretese di esaustività, ci soffermiamo sulle prospettive che interrogano la cura come campo di potere piuttosto che assumerla come affetto positivo. Che cosa rimane da dire su una categoria ampiamente dibattuta, persino inflazionata? Che cosa accade quando le genealogie vengono interrogate da prospettive situate, alla luce delle trasformazioni del presente? Accenniamo qui a tre temi ricorrenti del volume per poi svilupparli nelle pagine seguenti. Le linee di ricerca che evidenziamo non sono di uguale importanza per ogni capitolo, ciò che è che centrale per uno diventa laterale per un altro. Ma si tratta degli elementi che, ci sembra, costituiscono l’originalità e la forza di questa raccolta.

Primo, interroghiamo la tensione, spesso evasa, tra l’etica della cura e il femminismo della riproduzione sociale. Quali sono i punti di attrito e quelli di convergenza tra queste genealogie? Che cosa offrono l’una all’altra e in che modo entrano in risonanza con i movimenti sociali contemporanei per creare alternative ai modelli dominanti della cura? Secondo, guardiamo a forme di contestazione e reinvenzione della cura, in Italia e altrove, ad esperienze in Brasile, Guatemala e altri territori ispanofoni. Dall’attenzione verso pratiche intellettuali e politiche, verso lotte situate, recenti o ancora in corso, è possibile ricavare indicazioni riguardo le potenzialità e i limiti della cura come categoria politica. In che modo il femminismo nero e decoloniale, e le forme di cura trans complicano approcci che si vorrebbero universali ma che in buona parte riflettono teorie e pratiche elaborate nell’ambito del femminismo bianco e occidentale? Terzo, individuiamo nelle dimensioni dell’ecologia e della tecnologia dei terreni significativi di analisi che richiedono attenzione. Come cambiano le analisi della cura nelle geografie disuguali dell’estrattivismo esteso ai territori, ai corpi e alle forme di cooperazione sociale?[6] Qual è il ruolo della cura e della riproduzione in quello che Amaia Pérez Orozco (in questo volume) chiama «conflitto tra capitale e vita»?

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Il volume indaga molteplici dimensioni della cura attraverso prospettive, approcci e strumenti di indagine diversificati, e incoraggia scambi tra la ricerca e le pratiche attiviste. L’obiettivo è problematizzare la cura. Non solo per metterne a fuoco il ruolo nei processi che hanno portato alla tripla crisi del capitalismo, sanitaria, economica e climatica[7], ma per riorientarla nel tempo che ci attende. La scommessa è offrire sguardi trasversali, non consolatori, tenendo insieme storie e scale diverse in una stessa cornice[8], per fare emergere alternative alle relazioni socio-ecologiche fondate sull’appropriazione, lo sfruttamento, le gerarchie di razza e genere.

Sono queste relazioni che, per dirla con Achille Mbembe, hanno creato «un’impasse planetaria». Trasformarle richiede «né più né meno, di ricomporre una Terra abitabile che ci possa offrire la possibilità di una vita respirabile»[9].

 

Note

[1] A. Lowenhaupt Tsing, The Mushroom at the End of the World: On the Possibility of Life in Capitalist Ruins, Princeton University Press, Princeton 2015; tr. it. G. Tonoli, Keller, Rovereto 2021.

[2] M. Puig De La Bellacasa, Matters of care speculative ethics in more than human worlds, University of Minnesota, Minneapolis 2017; D. Haraway, Staying with the Trouble: Making Kin in the Chthulucene, Duke University Press, Durham 2017; tr. it. C. Ciccioni e C. Durastanti, Produzioni Nero, Roma 2019.

[3]  P. Molinier, Le travail du care, La Dispute, Paris 2013; tr. it. A. Guareschi, Moretti & Vitali, Bergamo 2019, p. 4.

[4] J.J. Williams, Science Stories: An Interview with Donna J. Haraway, «Minnesota Review», 73/74 (2009), pp. 133-163.

[5] M. Fragnito, Care Is Conflictual, in «Glossary of Common Knowledge», June 2020, disponibile su: https://glossary.mg-lj.si/referential-fields/commons-solidarity/ conflictual-care.

[6] Riprendiamo il concetto di «estrattivo esteso» da V. Gago e S. Mezzadra, A Critique of the Extractive Operations of Capital: Toward an Expanded Concept of Extractivism, «Rethinking Marxism», 29/4 (2017), pp. 574-591; si veda anche S. Mezzadra e B. Neilson, The Politics of Operations: Excavating Contemporary Capitalism, Duke University Press, Durham 2016; tr. it. T. Rispoli, Manifestolibri, Roma 2021.

[7] M. Mazzucato, Capitalism Triple Crisis, Project Syndacate, 20 marzo 2020, disponibile su: https://www.project-syndicate.org/commentary/covid19-crises-ofcapitalism- new-state-role-by-mariana-mazzucato-2020-03.

[8] M. Ticktin, From the Human to the Planetary: Speculative Futures of Care, «Medicine Anthropology Theory», 6/3 (2019), pp.134-160.

[9]A. Mbembe e C. Shread, The Universal Right to Bbreathe, «Critical Inquiry», 47/52 (2021), pp. 558-562.

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